“Geometria e luce, forma e significato. Nell’architettura di Ennio Cervi, lo spazio si fa linguaggio, il vuoto trova equilibrio, la materia diventa racconto. Ogni linea incide il tempo, ogni struttura è un dialogo silenzioso tra memoria e futuro.”
Pagina in preparazione…
Nell’attesa di completare questa sezione, conosciamo meglio l’architetto Ennio Cervi attraverso un frammento di un’intervista svolta nell’agosto 2019:

Su equilibri, proporzioni e armonie
Cominciamo con un discorso fatto qualche giorno fa sul rapporto che c’è tra pittura e architettura nel tuo lavoro.
“Molte cose le ho imparate dai miei professori a Venezia, ma soprattutto da mio padre. Molto immodestamente lo dico.
Negli anni del dopoguerra, iniziando a visitare l’Italia con i pullman, mi mostrava gli equilibri delle stesure delle facciate dei palazzi di Firenze, i pieni, i vuoti, le proporzioni.
San Zeno a Verona, una delle chiese romaniche più belle d’Italia, il gioiello del Brunelleschi: la Cappella Pazzi e le sue armonie volumetriche.
L’architettura è un lavoro di vuoto e pieno. Se consideriamo l’architettura di tipo organico, che come ti avevo detto era già di mio grande interesse, possiamo scavare nella materia, vediamo la materia che aggetta, le ombre creano una plasticità molto importante. E allora la facciata può essere diversa dalla facciata bidimensionale del razionalismo tirato, essenziale… bellissimo anche quello.
Comunque, in questi viaggi, proprio da mio padre, ho assimilato l’idea della proporzione.
“Sai, questo sulla tela mi ha dato molto (dagli orizzonti architettonici in poi). Dovevo inquadrare prima gli spazi che mi stavano a disposizione. Parlo dell’ultimo periodo mio.
Perché nei periodi precedenti, cioè i tori, le reti, i volumi, c’è sempre questo discorso delle proporzioni, però lo si legge molto meglio nell’architettura degli orizzonti, dove il piano ha un rapporto proporzionale tra colore e colore, tra stesura planimetrica, diagonali…
Quindi la conformazione mia di architetto la si vede soprattutto in queste ultime opere.
“Perché la mano libera è sempre stata abbastanza buona, sicuramente quella degli inizi era più figurativa indipendentemente da un inquadramento architettonico. Dentro può esserci lo stesso il seme della proporzione, però la mano libera, nella composizione di una corrida ad esempio, è più affascinata dal gesto. Invece, in questi ultimi lavori è soppesato maggiormente il discorso della rappresentazione geometrica.”
Che ruolo ha avuto tuo padre nella formazione artistica?
“Eh, lui devo ringraziarlo in tutti i sensi per avermi portato da Predonzani, da Mascherini, da Bergagna, da Rossini, da Sbisà.
Questo mi ha fatto scuola per un certo periodo. Da Sbisà prendevo dell’argilla, me la portavo a casa, me la cucinavo e… ho fatto dei bei piatti, ho fatto delle cose anche di scultura.
Che non ho salvato perché non le ritengo tali.
“Vedendo Mascherini, ho gettato un nudino colando del piombo in una candela.
Candela scavata, modellata, rivestita di gesso, messa in forno… ho fuso la cera e messo dentro il piombo. Bella donnina tra l’altro… (Ride).
Comunque, quando stavo là, vedevo lavorare Mascherini… lavorava spesso con la cera per i piccoli bronzetti che sono, secondo me, tra le cose più belle che ha fatto. E da qui la cera della mia candela. E poi lavorava moltissimo con l’argilla.
“E allora spiegavo a Roberto Curci, che mi era venuto ad intervistare per sapere qualcosa di Mascherini, che mio padre andava a trovarlo alle sette, sette e mezza di sera; dopo Mascherini chiudeva lo studio in via Fabio Severo 20.
E andavano a bersi un caffè o un bicchiere. E allora prima di chiudere bottega, si prendeva dell’acqua con la bocca e con la bocca piena d’acqua… PHFFF… la spruzzava sull’argilla, che restasse bella umida, la copriva con panni bagnati in modo che il giorno dopo fosse ancora lavorabile.
“Mascherini aveva un toretto così piccolo, in bronzo, che non so dove sia sparito, che era una meraviglia. La forza di quella bestia!
Là mi si è interiorizzato il toro come elemento plastico, alimentato da tutta la mia fantasia Hemingwayana.”